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14 Maggio 2021

Vivere in equilibrio nel presente.

Scritto da Redazione Openddb in 

Conversazione con il funambolo Andrea Loreni.

“Quando mi chiedono chi mi ha insegnato a camminare sul cavo, io rispondo: il cavo. Ho teso un cavo tra due alberi e ho iniziato a cadere, tagliarmi, prendere botte. Alla fine ho imparato come mettere il mio corpo su quel cavo. Il corpo ci apre a un tipo di verità molto più reale e autentica di quella della ragione.
Se siamo disposti a mettere da parte le sovrastrutture mentali con cui interpretiamo il presente, possiamo vivere direttamente e con autenticità ogni momento e conoscerlo per quello che è. Vivendo appieno e accettando completamente ció che abbiamo di fronte, potremo trovare la soluzione nascosta in ogni problema e nella crisi la via per uscirne”.

Parole nitide, pronunciate dal funambolo e filosofo Andrea Loreni in Any Step Is A Place To Practice, documentario, scritto, diretto e montato dal duo avant|post (Gabriele Maffiodo e Enrico Salmasi).

Il film è ambientato nel tempio giapponese di Sogen-ji e intorno al suo lago, che Loreni ha attraversato dall’alto, sospeso sul suo cavo d’acciaio di 14 millimetri di diametro, per celebrare il 77esimo compleanno del maestro Shodo Harada Roshi. Un video-diario diviso in 8 capitoli, che è anche l’occasione di riflettere sul rapporto tra Zen e funambolismo, grazie alla voce narrante del protagonista e a sequenze tratte dalle sue conferenze.

“Camminando sui cavi alti il mio orizzonte si è ampliato” dice Loreni. Un’esperienza che riesce a trasmettere agli spettatori, offrendosi completamente in quello che risulta essere al contempo un film sull’identità personale e collettiva.

Accade grazie al disvelamento della ricerca dell’equilibrio, passo dopo passo, lungo un percorso introspettivo quanto fisico, grazie alla presa di coscienza della relazione tra il proprio corpo e la sottile linea d’acciaio che lo regge, quasi fosse essa stessa un orizzonte, magari quello della libertà e delle infinite possibilità di progredire che la vita ci offre. Una consapevolezza che si perfeziona insieme alla percezione del “vuoto come contesto nel quale siamo tutti uguali”, proprio mentre a bilanciare il cavo, durante la traversata nel tempio, non sono ganci e tiranti, ma sono persone. Individui che con il proprio peso mantengono tese alcune funi perpendicolari, in concomitanza con il passaggio del funambolo. Una situazione che risulta metaforica dell’armonia tra esseri viventi.

Any Step Is A Place To Practice diviene, così, ben più di un documentario biografico o su un’impresa: si candida ad essere una sorta di testo di riferimento da consultare ogniqualvolta si desideri riflettere sul senso della nostra posizione nel grande affresco umano che ci contiene tutti. Un conforto dinanzi alle sfide della vita che ognuno di noi deve affrontare, specchiandosi nei preparativi di Andrea, che ci indica una via, confidando che bisogna “abituarsi alla paura, conoscerla, non tentare di cancellarla. Fare il primo passo sul cavo nonostante la paura. E sospendersi”.

Già vedere Loreni attraversare le piazze in equilibrio (è primatista italiano delle grandi altezze con i 250 metri percorsi a 90 metri dal suolo tra Penna e Billi, rifugio di Tonino Guerra sulle colline romagnole) o interpretare la scena più simbolica de «Il racconto dei racconti» di Matteo Garrone (dove camminava su una corda infuocata tesa tra due delle otto torri di Castel del Monte, in Puglia) è un’epifania. E Any Step Is A Place To Practice è il passo successivo, quello nella direzione di cominciare a comprendere la filosofia alla base di quei momenti d’equilibrio perfetto.

Abbiamo chiesto ad Andrea Loreni di raccontarci la genesi del documentario, come ha vissuto l’ultimo anno funestato dalla pandemia e come sta affrontando le sfide di questo periodo ancora complicato.

Andrea, il film è molto più che il racconto della preparazione e del compimento di una traversata, pur speciale. È anche un modo per esporre il tuo approccio alla vita. Qual è stata la pulsione che ti ha mosso a realizzarlo?

L’idea è nata dal fatto che ero consapevole che la traversata in Giappone sarebbe stata fruibile solo dai pochi intimi presenti. Questa situazione mi piaceva, ma ho anche pensato che un documentario avrebbe potuto testimoniarla. Ci tenevo, perché si tratta del compimento esatto dell’unione tra il funambolismo e lo zen. E desideravo che il racconto fosse più esteso rispetto ad un semplice video dell’evento, mi interessava arricchirlo con la storia di tutto il cammino affrontato per arrivare fino a quel momento.

Sei laureato in filosofia e negli ultimi anni hai pubblicato due libri, Zen e funambolismo (Il funambolo, 2019) e Breve corso di funambolismo per chi cammina col vento (Mondadori, 2020). Quando, esattamente, nella tua vita hanno iniziato ad intrecciarsi i percorsi del funambolismo e dello zen?

È una domanda che mi sono fatto anch’io: credo innanzitutto che il punto centrale sia stato la ricerca. Mi sono avvicinato alla filosofia in cerca di qualche altro tipo di verità oltre alle “solite”, ero affascinato dal dubbio. Poi, non soddisfatto dal concetto di verità logica e speculativa proposto dalle filosofie occidentali, che rimangono radicate in un campo molto mentale, ho iniziato ad approfondire l’approccio orientale. Quel tipo di verità che, invece, sentivo di desiderare in un primo momento l’ho trovata sul cavo: una verità fattuale, più vicina all’idea di autenticità. Il gesto del funambolo è un autentico.

In che senso camminare sulla fune ti fa questo effetto?

È una situazione in cui non si corre il rischio della finzione: è meglio “stare con quello che c’è” e trasmetterlo, ad esempio se ho paura non lo nascondo, come anche se provo gioia. Inutile fingere, sarebbe uno spreco di energie troppo rischioso. Insomma, nulla di falso ha senso lassù.

Esistono altre esperienze, nella vita, che ritieni della stessa portata?

La più eclatante, oltre al gesto funambolico, è il momento del parto: sono stato in sala parto con mia moglie e quel momento non si batte in fatto di autenticità, non c’è traccia di finzione in quegli attimi. E soprattutto è un dato che non può essere contraddetto da un altro: la realtà di un parto non può essere negata da quella di un altro parto, restano comunque vere entrambe. A differenza di altri concetti più logico-razionali che prevedono che se è vero A non può esserlo anche B (ed è proprio questa dualità oppositiva il tipo di approccio che non mi aveva mai convinto molto).

Come spieghi, da padre, la particolarità della tua attività di funambolo?

Devo dire che non spiego tanto: trovo l’atto della spiegazione troppo concettuale, razionale… e poi soprattutto i bimbi preferiscono racconti più poetici, come le fiabe. Mia figlia adesso ha sei anni e mezzo e mi ha sempre visto fare questa cosa, è la normalità per lei: quando vado a lavorare vado a camminare sul cavo.

Trovi che nell’infanzia ci sia una maggior propensione alla libertà di pensiero?

Sì, i bambini sono più puri, hanno meno sovrastrutture, anche se le nostre inevitabilmente vengono loro trasmesse, perché crescono in un contesto culturale preciso e noi tramandiamo loro le nostre abitudini.

Quello che possiamo fare come adulti, nei loro confronti, è cercare di essere consapevoli: quando trasmettiamo qualcosa cercare di esplicitare “chi parla”. Insomma: chiederci qual è la parte di noi che sta parlando, perché può essere talvolta il “padre benevolo”, talaltra“l’uomo arrabbiato” o quello “l’uomo timoroso”. Molte paure parlano per noi e finisce che le trasmettiamo ai figli. Tuttavia è davvero complicato essere neutri. Quello che possiamo fare è accettare ciò che siamo e permettere ai più piccoli di essere il più liberi possibile.

La cosa fantastica dell’infanzia è che i bimbi sono presenti nel “qui e ora”! Anche perché fino ad una certa età non hanno una concezione del tempo precisa, non riescono a proiettarsi nel passato o nel futuro. Loro sono sempre nel presente e fanno cose magnifiche: corrono per il gusto di correre, fanno movimenti che hanno appena imparato giusto per il gusto di farli.

Anche nello zen c’è una concezione di purezza legata all’infanzia: si dice che il saggio, l’illuminato, sia come un bambino con la barba bianca. Un uomo d’esperienza che riesce ad abbandonare le sovrastrutture e torna alla spontaneità.

Gentilezza, generosità e altruismo sono valori che emergono nel film. Mai come in questultimo periodo - sebbene viviamo in un mondo per la gran parte votato allindividualismo e alla ricerca del successo personale - è stato così chiaro quanto contino le relazioni. Tu come hai vissuto l’ultimo anno, la pandemia, il lockdown? E qual è il lascito di questo periodo?

La questione del “saremo meglio o peggio?” è complicata. Ad esempio penso ai social network, ci ho riflettuto anche per quanto mi riguarda: l’allontanamento forzato dalla vita sociale mi ha portato ad utilizzarli di più e mi sono accorto che in verità provocano un distacco maggiore dalla realtà. Quindi se guardassi solo ai social direi che ne usciremo peggiorati, poi per fortuna invece c’è altro e, anche confrontandomi con gli amici, ho realizzato che siamo ritornati ad apprezzare di più la vicinanza, la relazione, insomma cose che davamo un po’ per scontato. Poi, certo, ognuno di noi ha anche avuto molto tempo per ragionare, fare i conti con se stesso, e talvolta questo ha esasperato eventuali ossessioni già presenti nella sua mente.

Paradossalmente all’inizio ho pensato che non avere prospettive fosse liberatorio, la gravità della situazione (l’idea del “moriremo tutti”) toglieva ogni preoccupazione, ogni pensiero rispetto alle incombenze del futuro. In quell’ottica le prime due settimane sono state favolose: ho un giardino, l’orto, tre galline… anche solo stare all’aperto a prendere un caffè con mia moglie e la nostra bimba era il massimo, un gesto bellissimo, qualcosa di inestimabile valore. Oggi posso dire che quel che è rimasto di quelle sensazioni è la capacità di apprezzare i ritmi più rallentati e, proprio adesso, mentre mi rendo conto che in questo periodo sto tornando ai soliti ritmi, ho la prova che erano troppo serrati. Il covid ci ha sbattuto in faccia che siamo fragili e che troppi obiettivi ci sradicano dalla bellezza del quotidiano. Adesso abbiamo una responsabilità: non dobbiamo dimenticare in fretta.