Il 18 aprile 2015 una barca affonda al largo della Libia. Muoiono circa 800 migranti. Si tratta della peggiore tragedia verificatasi nel Mediterraneo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il governo italiano prende una decisione senza precedenti: riportare a galla il relitto e cercare di identificare le vittime. A capo di questa operazione c’è Cristina Cattaneo.
Una felpa con cappuccio, pantaloni, una cintura. Ecco cosa resta del "numero 387".
Servendosi dell’esame delle ossa, della ricostruzione 3D e del controllo incrociato del DNA, Cristina e il suo team faranno il possibile per dare un nome a ciascun corpo.
In Grecia, Pavlos Pavlidis lavora da 17 anni per identificare i corpi senza nome. Oggi, come Cristina, lavora all’identificazione delle vittime del Mediterraneo per la Croce Rossa Internazionale.
Non si tratta della ricerca dei soli nomi: è una ricerca di umanità.
Note di regia
Ho sentito parlare della nave nell’aprile del 2015 ma già da tempo riflettevo e ancora di più nell’estate dello stesso anno. Mi chiedevo: che succede a chi perde la vita in mare? È una domanda semplice. Alcuni corpi vengono recuperati, altri no, alcuni vengono seppelliti. Che succede in questo passaggio che noi non vediamo? E soprattutto, non so se è una questione filosofica o antropologica, cosa succede a una società, intesa come Europa, quando così tante persone muoiono, senza nome e senza dignità?
(Madeleine Leroyer)