Nel 1977 muore Charlie Chaplin. Con lui, per qualcuno, la possibilità di avviare un percorso gentile – umano – verso la modernità.
Nel 1977 Bologna era la politica di organizzazione extraparlamentare, dei cani sciolti, della controcultura. Era l’arte emergente del fumetto, della performance, era l’informazione rinnovata delle radio libere e delle fanzine. Era la nuova istruzione possibile nelle aule del Dams.
Una città laboratorio sul margine pretecnologico di un’Italia del tutto diversa da quella di oggi.
Quella stagione – passata nei giornali, o nelle corti di giustizia, come “anni di piombo” – patisce una descrizione assolutamente riduttiva e ingiusta. Furono anni assolutamente più ricchi di politica, di utopia, di desiderio, di progetti, che non di confronto armato.
Del 1977 ne hanno parlato pressoché solo i magistrati e i giornalisti, veloci, spesso corrivi. Obliterando quell’esplosione, quella percezione dell’esistenza da soggetti metropolitani capaci di pensare, decidere, volere, desiderare, occupare il suolo pubblico. Di attribuire importanza alla propria vita e alla propria esistenza anche fisica e corporea. Di fare politica con il proprio corpo. Di fare Rivolta.
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